Pianifica la tua nuova meta. Destinazione Nepal!

Trekking campo base Everest (5545 m) e salita Island Peak (6190 m)

Raggiungere il campo base dell’Everest, uno dei luoghi più affascinanti d’oriente tra le più alte montagne del pianeta, costituisce spesso il “sogno” per eccellenza per gli amanti del trekking: un sogno, a nostro avviso, non così difficile da realizzare! Camminare su questo sentiero significa godere della magnifica vista della catena himalayana, con i suoi “Ottomila” innevati che si stagliano nel cielo blu ed incontrare le popolazioni di etnia Sherpa, di origini tibetane e di fede buddista, che abitano i meravigliosi villaggi arroccati nella valle. Al rientro dopo aver raggiunto i 5545mt. del Kala Pattar saremmo sufficientemente acclimatati per salire l’Island Peak, un’ascensione spettacolare, al cospetto delle montagne più belle e spettacolari montagne dell’Himalaya: Everest, Lhotse, Nuptse, Pumori, Cholatse.

Periodo: OTTOBRE 2018

ITINERARIO DI VIAGGIO

Giorno 01
Volo dall’Italia e arrivo all’aeroporto internazionale di Kathmandu. Volo per l’aeroporto internazionale di Kathmandu.

Giorno 02: Arrivo a Kathmandu.
Incontro fuori dall’aeroporto internazionale di Kathmandu con un rappresentante locale e trasferimento in Hotel, relax. Prima di cena briefing con il gruppo per ultimi dettagli sul trekking e salita. In base all’orario di arrivo, possibilità di visitare kathmandu e dintorni.

La cena é esclusa dal pacchetto, potrete cenare in uno dei tanti ristoranti tipici in Thamel, che si trovano a pochi minuti a piedi dall’Hotel.
Pernottamento e colazione in Hotel.

Giorno 03: Volo Kathmandu-Lukla trekking Lukla(2700) – Phakding (2700)
Uno spettacolare volo sull’Himalaya della durata di circa 35 minuti, vi porterà nel cuore dell’Himalaya. Sveglia presto trasferimento in aeroporto, disbrigo imbarco bagagli e poi si parte.
Atterrati a Lukla (2700mt.) in attesa dei bagagli avrete modo di visitare questo bel villaggio. Una volta recuperate le borse, e distribuiti i carichi ai portatori, macchine fotografiche e videocamere alla mano, vi incamminerete con la vostra guida, attraverso i sentieri che conducono all’ingresso del parco del Sagarmhata (Everest). La prima tappa è piuttosto corta ma molto bella, con diversi saliscendi che ci condurranno attraversando splendidi villaggi al primo lodge a Phakding. (circa 2-3 ore).

Giorno 04: da Phakding a Namche Bazaar (3440)
Sveglia verso le 7.00 dopo colazione vi incamminerete per una tappa molto bella ed interessante, nel pomeriggio raggiungerete Namche Bazaar, il villaggio degli Sherpa, il centro più grande del Khumbu. Durante il cammino avrete modo di vedere da vicino il trascorrere della vita nei villaggi nepalesi, incrocerete carovane di Yak e attraverserete i famosi ponti sospesi e sull’ultimo tratto di salita per Namche con una bella giornata sarà possibile vedere per la prima volta la cima dell’Everest e del Lhotse.

Durata circa 6 ore quota d’arrivo 3440mt.

Giorno 05: Escursione nei dintorni di Namche Bazaar.
Una giornata di acclimatamento, con un’escursione ad anello sopra il villaggio. Visiterete il museo degli Sherpa, poi con una ripida salita arriverete fino al Everest View Hotel, un primo punto panoramico sulle montagne più belle del Khumbu; davanti a voi, maestose si staglieranno l’Everest, il Lhotse, l’Ama Dablam. Dopo un pausa andrete a visitare la scuola fatta costruire da Sir Edmund Hillary il primo salitore dell’Everest in un villaggio molto caratteristico (Chukung) dove in base all’ora decideremo se fermarci a pranzo o meno. Da qui rientrerete al lodge nel primo pomeriggio. Qui avrete modo di telefonare a casa presso l’internet point a costi molto bassi con ottima ricezione o di godervi una serata in uno dei caratteristici Pub nepalesi.
Cena, pernottamento e colazione inclusi in lodge.

Giorno 06: da Namche Bazaar a Tengboche (3850)
Usciti dal villaggio percorreremo un lungo e comodissimo sentiero che parte con dolci saliscendi dal quale godremo di una vista magnifica sulla valle lungo la quale scorre il Dudh Kosi e sulle montagne che ci circondano. Ora una lunga e polverosa discesa ci porterà a perdere quota fino ad un ponte sul fiume. Superato il ponte faremo una pausa per un the , caffe, o una fetta di torta nepalese. Ricaricate le energie ripartiremo per una lunga salita che ci porterà sull’altopiano dove si trova il tempio di Tengboche , il Gompa più grande del Khumbu. Un luogo idilliaco, da dove si potranno scattare magnifiche foto all’Ama Dablam (6850) , Everest, Lhotse, Nuptse. Qui faremo una pausa con la possibilità per chi lo desidera di visitare l’interno del tempio e di seguire una cerimonia dei monaci buddisti che vivono nel tempio. Dopo la visita al tempio, in circa 30 minuti di camminata in discesa e piano raggiungeremo il nostro lodge in mezzo al bosco.

Durata 5-6 ore quota max. 3850mt. Cena, pernotto e colazione in lodge.

Giorno 07: Da Tengboche a Periche (4250).
Con questa tappa guadagnerete una quota importante, l’aria rarefatta comincerà a farsi sentire, da dove arriverete a Periche al Campo base vi separano solo 1100mt. di quota.
Lungo il cammino per Periche, passerete dal villaggio, da dove parte il sentiero che sale al campo base dell’Ama Dablam una delle montagne più belle del mondo, da dove con un buon binocolo o zoom della macchina fotografica, potrete seguire gli alpinisti intenti alla scalata di questa impressionante parete.

Giorno 08: Giornata di acclimatamento a Periche.
Giornata di accliamatamento con salite nei dintorni del villaggio, da dove avrete modo di vedere la valle dell’Imja tse che porta fino all’island peak, e davanti a voi l’impressionante parete dell’Ama Dablam. Rientreremo per pranzo. Pomeriggio libero per riposare. Cena, pernotto e colazione in lodge.

Giorno 09: da Periche a Lobuche (4730).
Questa mattina salirete per sentieri un po’ più ripidi verso il campo base fino a raggiungere, “il luogo della memoria”, in questa zona sono stati innalzati degli stupa commemorativi per le persone che hanno perso la vita sull’Everest, tra queste si riconosce la pietra con inciso il nome di Scott Fischer, la famosa Guida americana che ha perso la vita nella tragedia del ’96 di cui si è tanto parlato nel libro “Aria sottile” e nel film “Everest”. Da qui risalirete la valle fino al villaggio di Lobuche, lasciando sulla vostra sinistra il Lobuche East ed il suo campo base.

Durata circa 3-4 ore. Cena, pernotto e colazione in lodge.

Giorno 10: da Lobuche a Gorekship al Campo Base dell’Everest (5200).
Tappa abbastanza lunga e faticosa ma altrettanto ricca di emozioni. Risalendo la morena del ghiacciaio del Khumbu, il paesaggio è quello tipico dell’alta montagna si cammina su pietraie, in prossimità del Campo Base sulla nostra sinistra e destra si elevano impressionanti pareti di neve e ghiaccio di oltre 7000 metri come il Pumori ed il Nuptse, “due sentinelle” che sorvegliano l’ingresso alla via per la montagna sacra. ora davanti a noi la mole dell’Everest ci incanta, Il Chomolungma, il Sagarmatha o Everest, “la dea madre della terra” ci sovrasta in tutta la sua maestosità. Non ci rimane che goderci questi panorami unici , prima di rientrare al nostro lodge.

Durata: circa 5 ore quota massima: 5200mt. Cena, pernotto e colazione in lodge. Giorno 11:

Da Gorekship al Kala Pattar (5545) alba sull’Everest.
Sveglia prima dell’alba e dopo un the o caffe caldo, salita al kala Pattar (5545) per godere di uno degli spettacoli più emozionanti al mondo, l’alba che sorge dietro alla cima dell’Everest. Rientro al lodge, colazione e discesa fino a Dingboche. Cena pernotto e colazione al campo. Durata: 7/8 ore.

Giorno 12: Da Digboche al villaggio di Chukung.
Tappa veloce, per permetterevi di recuperare le forze per la salita alla cima.

Giorno 13-14: da Chukung al campo Base dell’Island Peak (5100).
Da Chukung trek attraversando stupende vallate con vista straordinaria sull’ Ama dablam, Sud del Lhotse, Baruntse. Giunti al campo, sistemazione in tenda, pranzo, riposo.
Partenza verso l’1 o 2 di notte per giungere sulla cresta sommitale che conduce alla cima. Da qui un panorama spettacolare amplificherà l’emozione di aver raggiunta una cima di oltre 6000 metri in Himalaya. Dopo qualche bella foto dalla cima, rientro al campo base e da qui a Chukung dove si arriverà nel tardo pomeriggio. Sistemazione in lodge.

Giorno 15: Trek di rientro da Chukung a Panboche (3900).
Comincia il trekking di rientro verso Lukla, da qui rientreremo ripassando per il medesimo sentiero fatto all’andata al villaggio di Dingboche, per poi proseguire fino a Pangboche, godendo ancora una volta dei paesaggi unici delle montagne himalayane. Durata: circa 6 ore

Giorno 16: da Pangbocheche a Namche Bazaar.
Tappa lunga di rientro, piuttosto faticosa, per i saliscendi che dovremo percorrere, ma col pensiero rivolto ai giorni trascorsi, questa tappa diventerà meno faticosa del solito. Dopo cena potrete festeggiare il viaggio con una meritata birra rigorosamente una “Everest Beer” al Pub di Namche.
Durata: circa 6 ore.

Giorno 17: da Namche Bazaar a Lukla.
Ultimo giorno di trekking, stanchi ma felici percorreremo l’ultimo tratto di sentiero, fino al portale che segna l’arrivo a Lukla, qui potremo finalmente riposarci, e bere un ottimo cappuccino ed una squisita fetta di torta presso l’Illy caffè. Cena pernottamento e colazione presso il lodge.
Durata: circa 7 ore.

Giorno 18: Volo da Lukla a Kathmandu.
Dopo colazione, saluteremo e ringrazieremo con la consegna delle mance, i nostri portatori, per il grande lavoro svolto, sbrigate le pratiche burocratiche per i bagagli ci imbarcheremo sul volo di rientro che in 35740 minuti ci riporterà a kathmandu. Qui con mezzi privati rientreremo in Hotel per un doccia come si deve e un meritato riposo. Pomeriggio libero, per poi trovarci per cena in qualche ristorantino in thamel. Pernotto e colazione in Hotel.

Giorno 19: Volo di rientro per l’Italia.
Trasferimento in aeroporto e volo di rientro per l’Italia.

COSTI
Costo a partire da: 3.945,00 Euro a persona. Per un gruppo di minimo 3 persone. Costo a partire da: 3.460,00 Euro a persona. Per un gruppo di minimo 4 persone. Costo a partire da: 3.255,00 Euro a persona. Per un gruppo di minimo 5 persone. Costo a partire da: 3.146,00 Euro a persona. Per un gruppo di minimo 6 persone.

Il costo comprende:

• Guida Alpina italiana con 10 anni di esperienza in spedizioni di alta quota.
Tutti I trasferimenti come da programma, assistenza da parte dello staff locale una volta arrivati all’aeroporto sia all’andata che al ritorno.

  • 3 notti in Hotel a 3 stelle con servizio di B&B (colazione e pernottamento inclusi).
  • Staff locale durante il trekking, guida locale parlante inglese, portatori, cuochi e aiutocuochi a i campi base.
  • Biglietto di andata e ritorno da e per Lukla per gli alpinisti e per ,lo staff.
  • tutto il materiale necessario per I Campi Base, tende , materassini , tende mensa, sedie, tavoli, stoviglie, tenda bagno.

• Durante il trekking e la salita sono previsti 3 pasti al giorno (Colazione, pranzi e cene, inclusi the, caffe durante i break).

  • 20 kg. a persona possono essere trasportati durante il trekking dai portatori.
  • Permessi d’ingresso ai Parchi per trekking e salite.
  • spese e assicurazione per lo staff.
  • Cibo per I Campi Base e per I campi alti selezionato per le esigenze degli alpinisti.
  • tutti i permessi e le tasse governative per I trekking e le salite in Nepal.

Il costo NON comprende:

  • Volo internazionale dall’Italia a Lukla andata e ritorno. Visto nepalese (40 euro)
  • Pranzi e cene a Kathmandu e ogni cibo extra fuori dai pasti previsti dal programma. Le bevande non sono incluse nel pacchetto (acqua in bottiglia durante il trekking,..) .
  • servizi di lavanderia, mance per lo staff: portatori, cuochi, guide locali, autisti.
  • Spese per telefonate o internet.
  • vestiario, borse, valigie, kit medico personale, o attrezzatura tecnica personale per la salita. • Altri prodotti o servizi non esplicitamente menzionati nell’itinerario
  • spese extra dovute a calamità naturali: terremoti, inondazioni o per ragioni politiche: sommosse, guerre.
  • personale dello staff in più oltre a quello incluso in programma.
  • Spese di soccorso, recupero, medicine, test medici, ricovero.
  • Assicurazioni annullamento, soccorso, recupero.
  • visto Nepalese ( da pagare direttamente in aeroporto).
  • permesso per girare documentari o film.
  • Tutto ciò che non compare all voce: “Il costo include”.CONTATTI
    1. Agenzia Deb Viaggi S.r.l. (Brescia)
      Direttore d’agenzia parte logistica ed organizzativa:
      Barbara email: barbara@debviaggi.com Telefono: 0306158304Consulente tecnico parte Trekking & Spedizioni: Luca Montanari Guida Alpina – Manager Xtravels & Expedition Leader
      Mob: 335 6857151
      Email: lucamontanari.guidaalpina@gmail.com

Gyanjikhang, è cima! La nuova via italo-nepalese aperta da Luca Montanari e gli Sherpa.

Gyanjikhang: difficile da ricordare, scrivere e persino pronunciare. Ma per me e Giorgio è ormai un nome che non dimenticheremo mai, perchè legato ad una delle esperienze più straordinarie della nostra vita alpinistica. 
La scelta di questa montagna derivava dalla voglia di tentare la cima di un settemila poco conosciuto, in una regione – quella dell’Annapurna – decisamente più isolata e meno trafficata della Valle del Khumbu. Poche informazioni, pochissime relazioni, nessuna esperienza precedente: né io, né gli sherpa che ci avrebbero accompagnati, eravamo mai stati lì. Siamo partiti con spirito esplorativo, con l’approccio sognatore e determinato dell’alpinista alla ricerca di nuove vette da raggiungere e raccontare. Ma soprattutto, consapevoli del fatto che nessuna spedizione italiana era mai stata lì e questo, lo ammetto, ha contribuito a darci tantissima carica.
Luca “Sherpa” Montanari,  Giorgio “Evergreen” Sartori, “Big” Mingma Temba Sherpa, “Speed” Nima Sherpa: la cordata italo/nepalese ben presto si sarebbe trovata di fronte ad un’esperienza davvero unica.

Il lungo trekking di avvicinamento (9 giorni di cammino, con passi a 5400 metri), ci ha permesso di arrivare al campo base, a 4800 metri di quota, stanchi, ma ben acclimatati. Condizioni fisiche molto buone, morale altissimo, un’ottima compagnia. C’eravamo solo noi, accampati in un campo base praticamente deserto, e la montagna. Bellissima, misteriosa, nuova.
Il meteo e il nostro buono stato di salute erano dalla nostra parte e, in teoria, ci avrebbero permesso di portare avanti il programma di salita così come lo avevamo pianificato. In teoria.
Nella pratica, avevamo ricevuto dall’Italia notizie certe che la via classica, quella lungo la cresta, all’apparenza la più bella, era in realtà molto secca e pericolosa. Dovendo evitare, ci siamo spinti su dalla via del ghiacciaio, dove la linea sembrava più fattibile. Individuato ed allestito il campo 2 e saliti al campo per completare l’acclimatamento, ci siamo resi conto in realtà che la tratta dal campo 2 a campo 3 passava attraverso un corridoio delimitato, a sinistra, da un groviglio di enormi crepacci. A destra, sospeso ad un centinaio di metri sopra le nostre teste, un enorme seracco strapiombante, dal quale ogni giorno si staccavano pezzi enormi di ghiaccio che, a loro volta, innescavano valanghe di medie dimensioni lungo la traccia di salita. Insomma, un tratto impercorribile, il cui passaggio avrebbe comportato rischi enormi. Inutile raccontare la delusione e lo sconforto: quando si arriva ad un passo dalla vetta, quando la salute e le condizioni meteo sono buone, è davvero difficile rinunciare. E’ come se, all’improvviso, piombassero addosso tutto il freddo e la stanchezza che l’adrenalina e l’entusiasmo non avevano fatto sentire fino a quel momento. Così ci sentivamo noi, dopo aver constatato che sembrava davvero finita.

La nuova via.
Ma nella vita, negli interstizi tra pianificazioni ed imprevisti,  spesso si incastrano dei piccoli tasselli che noi non possiamo prevedere, ma che hanno il potere di cambiare il corso degli eventi: sono le opportunità. Mi sono reso conto che le nostre buone condizioni, il profilarsi di una lunga settimana di bel tempo e la presenza di 2 fortissimi sherpa, erano i nostri tasselli, infilati tra le due vie non percorribili.
‘Ci deve essere un passaggio più diretto e sicuro, ho visto la montagna, ho bene in mente l’immagine dall’alto del ghiacciaio. Ma soprattutto, non voglio mollare. Per Giorgio, per me e per tutti quelli che sono qui insieme a noi con il pensiero e con il cuore. Tentiamo’. Questo mi ripetevo, all’indomani di quello che doveva essere il giorno di riposo e che invece, insieme a Mingma e Nima, ho impiegato per tentare di aprire una nuova linea di salita. Abbiamo lavorato duro tutto il giorno per superare una bella parete di circa 60 gradi e, successivamente, una lunga cresta che abbiamo attrezzato interamente con corde fisse, per garantire la sicurezza durante la discesa. Il passaggio, infatti, avrebbe comportato l’attraversamento di una zona di grandi crepacci prima di raggiungere i pendii che portano al colle e, quindi, la cresta finale verso la cima. 
Quel giorno ero davvero stanco, avevo lavorato duro insieme agli sherpa, non avevo riposato. Ma dentro mi sentivo invincibile, appagato, felice.

La vetta.
L’indomani partiamo. 1 e 15 di notte, 25 ottobre. Un cielo stracolmo di stelle ed un freddo pungente, a 5800 mt di quota. 
Superiamo velocemente il tratto più ripido della cresta che ci conduce al labirinto di crepacci. Raggiunto il plateau, a circa 6200 metri, il vento si rafforza, Giorgio è costretto a fermarsi ogni cinque, dieci minuti a causa del freddo alle mani. Proviamo più volte a fare il cambio dei guanti, alla ricerca del paio più caldo. Avanziamo a fatica verso il colle che ci collega alla lunga cresta finale, verso la cima. Il vento aumenta, quasi fino a farci perdere l’equilibrio. Teniamo duro, in 4, uno dietro all’altro, con in testa Mingma. Siamo stretti nei nostri piumini, nei nostri pensieri, andiamo incontro alle luci dell’alba, incontro ad un sogno che sembra essere proprio lì, a pochi passi da noi. 
Giunti al colle, i raggi del sole non scaldano più, il vento è davvero fortissimo e il freddo insopportabile. Ma la cima è vicina, il terreno è meno ripido, la nostra determinazione non cede alle raffiche. 
Sento tanto freddo, ma vado avanti. Mingma è già in vetta, che ci aspetta. Dò una pacca sulla spalla di Giorgio, lascio che sia lui ad andare avanti. 
Gli ultimi metri sono davvero duri, ma i pensieri, i tasselli, la forza da casa, sono ancora più forti di questo muro di gelo che non accenna a diminuire. Alla fine, è solo gioia, tanta gioia. Le lacrime ghiacciano sulle ciglia, cerchiamo i nostri abbracci, pensiamo silenziosamente a quanti siamo, in realtà, quassù.
Al caldo della nostra tenda controlliamo il nostro stato di salute: qualche principio di congelamento, ma niente di grave. Solo al campo base, riposati, tiriamo le somme: un 7000, attraverso una nuova via, più sicura, per tutti quelli che vorranno salire questa meravigliosa montagna dopo di noi. Il primo 7000 per Giorgio, la prima salita personale per Mingma e Nima.
Ringrazio di cuore Giorgio, per la perseveranza che ha avuto nel raggiungimento di questo grande obiettivo, per non aver mai perso la positività, una dote che solo i grandi alpinisti possiedono.
E ringrazio i nostri compagni di cordata Mingma e Nima, fortissimi sherpa, ma soprattutto persone di gran cuore. Senza il loro aiuto, il loro sostegno e i loro sorrisi, non avremmo potuto coronare questo sogno.
Ad attenderci a Kathmandu i segretari di Miss Hawley, che hanno ufficializzato la prima salita italiana del Gyanjikhang e hanno constatato che la nuova via diventerà, con ogni probabilità, la salita più sicura, d’ora in poi.

Torno a casa felice, come sempre mi capita dopo aver trascorso periodi più o meno lunghi in Nepal. Ma mai come questa volta  mi sono reso conto che, qualunque sia l’obiettivo  da raggiungere e le difficoltà da superare, c’è sempre una via inesplorata che ci apre la strada.
Cercate i tasselli. Toverete le vostre opportunità.

Tashi Delek Gyajikhang.
Luca.

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GYANJIKHANG EXPEDITION 2017 – Verso il campo base.

Il nostro trekking verso questa nuova avventura comincia a Pokhara. Da qui, abbiamo volato su Jomson, a 2800 metri di quota, un tratto di 25 minuti che ci ha regalato una splendida vista sul Dhaulagiri e sull’Annapurna. Da qui, a piedi, abbiamo raggiunto Muktinat (3800 mt), percorrendo un bel trekking lungo la valle bagnata dal fiume Kali Ghandaki. Il giorno dopo abbiamo visitato il monastero del villaggio ed abbiamo assistito ad una festa con riti religiosi induisti e buddisti. 
Dopo Muktinath abbiamo raggiunto un piccolo villaggio più in quota, a 4200 metri. Qui abbiamo dormito e il giorno dopo, con sveglia alle 5.00 di mattina, abbiamo raggiunto Thorong La Pass, a 5400 metri, il passo da superare prima di scendere nuovamente a 4200 metri.
In genere questo trekking si percorre al contrario, per arrivare al passo dopo diversi giorni di cammino e superare il passo già con un buon acclimatamento. La nostra intenzione è percorrerlo in questo senso e raggiungere un secondo passo a 5300 metri di quota, probabilmente tra 2 giorni. In questo modo possiamo contare di arrivare al campo base ben acclimatati e, una volta riposati, andare a dormire direttamente al campo 2. Ma sono solo ipotesi: in base a quello che succederà nei prossimi giorni potremo valutare se mantenere i piani oppure fare delle variazioni.
Quello che ci aspetta sarà avvincente, emozionante ed intenso, ma di certo non facile. Affronteremo le giornate con grande cautela ma anche con tanto entusiasmo, perchè questo trekking di avvicinamento è nuovo per entrambi e ci sta riservando tantissime sorprese. Per cui, ora ci godiamo queste meraviglie che ogni giorno incontriamo sul nostro cammino, con l’animo degli esploratori.
Luca

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Manaslu, è cima!

27 settembre, 7,30 ora italiana: Sergio, Riccardo, Bobi e Alessandro raggiungono la vetta del Manaslu.
I ragazzi hanno coronato il loro sogno di scalare la montagna dello Spirito.
Partiti dal campo 3 per raggiungere il campo 4 a 7400 metri di quota, hanno riposato alcune ore prima di ripartire, intorno alla mezzanotte, per la cima.
Un riposo relativo, in realtà, poiché alle altissime quote l’aria rarefatta e la fatica impediscono di dormire bene e riposare davvero. Fondamentale è restare calmi, concentrati, risparmiare tutte le forze rimaste e farsi coraggio, supportati dal team di sherpa. Le ore che precedono la cima sono ore di grande fatica, forse mai provata in passato, durante le quali è fondamentale pensare intensamente a cosa li ha portati lì, al cospetto di quell’ottomila. Solo così è possibile trovare la forza e la determinazione per fare lo sforzo finale e puntare diritti all’obiettivo: l’ottavo ottomila più alto del mondo.
Sergio, Riccardo, Bobi ed Alessandro ce l’hanno fatta.
Durante la salita ero mentalmente con loro: conosco la montagna, ricordo bene l’occhio del Manaslu, non posso certo dimenticare la fatica e le difficoltà di una spedizione che, nel 2012, si è rivelata molto difficile a causa delle condizioni meteo avverse. Ma a loro è andata bene: sono stati bravi e la montagna li ha voluti al suo cospetto, ha permesso loro di raggiungere un sogno, li ha lasciati andare appagati e felici.
Complimenti ragazzi, tante di queste vette!
Luca Montanari

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GYANJIKHANG PEAK – Manca poco alla partenza!

Gyanjikhang Peak. Un nome impronunciabile, per un sogno possibile: scalare un settemila mai scalato da alpinisti italiani.
Per me è una nuova meta, come lo sono state altre in passato. Ma stavolta non sarò solo: accompagnerò in questa avventura Giorgio che, nel suo progetto di scalare un settemila, ha accettato la sfida di tentarne uno completamente nuovo per entrambi.
Ho passato mesi a studiare la salita sulla carta, ad immaginare come potrà essere questa lunga cresta, ad organizzare il materiale e pianificare i giorni di acclimatamento, fino alla salita finale.
Ed accarezzare, insieme a Giorgio, il sogno di una vetta spettacolare, primi italiani.
Questa nuova esperienza himalayana sarà un vero e proprio viaggio esplorativo: ho studiato in dettaglio il programma della spedizione, ho pensato ed immaginato la salita insieme a GIorgio, ho pianificato tutto nei minimi dettagli, affidandomi all’esperienza maturata in questi anni ed anche ad una buona dose di intuito.
Per scaricare la tensione prima della partenza e passare una notte in quota, abbiamo deciso di trascorrere due giorni sul Bianco.In questo periodo girano pochi alpinisti, il rifugio è semivuoto e la sensazione di avere il Bianco tutto per noi è stata davvero impagabile.
Il primo giorno abbiamo raggiunto il Cosmiques dal Torino in poco più di 2 ore. La traversata è stata davvero divertente, con passaggi spettacolari su ponti di neve e tra i crepacci, tutti molto aperti per via della stagione particolarmente calda e secca. Abbiamo passato il pomeriggio in rifugio a ripassare il programma del Gyanjikhang e rivedere tutto il materiale da portare via. 
Il giorno dopo, sveglia alle 4 e 30. Usciti dal rifugio alle 5,40 e ci siamo trovati a dover affrontare un tempo decisamente brutto, contrariamente alle previsioni. Abbiamo quindi deciso di fare una salita classica sulla nord del Triangle du Tacul, in modo da raggiungere 4235 metri della cima, per fare un po’ di quota.
A causa del vento forte e della scarsa visibilità, una volta fuori dalle difficoltà , abbiamo preferito calarci dalla via di salita in corda doppia. Pur non avendo fatto cima la salita si è rivelata molto divertente, resa ancora più interessante dalle condizioni particolarmente secche e dalla presenza di passaggi più belli ed impegnativi del solito ghiaccio misto.
Scesi alla base della via, siamo rientrati al Torino battendo traccia, dato che il vento e la bufera hanno cancellato i segni del passaggio.
Mancano pochi giorni alla partenza: domenica 1 ottobre saremo sul volo per Kathmandu.
Noi siamo pronti!

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Bugaboos, gran finale: dall’Italia, con amore!

La terza salita all’Applebee Camp è stata quasi una passeggiata: uno zaino leggerissimo a testa, dato che avevamo lasciato materiale e cibo al rifugio. Tuttavia, durante il tragitto, immaginavamo la discesa: sapevamo che avremmo pagato quell’incedere leggero e spedito con un bagaglio extra da portare giù!
Questa volta le temperature sono state ben diverse da quelle delle due settimane precedenti: molto più basse, per un clima decisamente invernale. Al tramonto, imbacuccati nei nostri piumini e scaldati dalla solita tazza di the fumante, ci sembrava quasi di essere sulle Alpi. Quando si amano così tanto posti come questo, il fatto di essere sulle Rocky Mountains, o in Patagonia, o sulle Alpi o in qualunque altra parte del mondo è importante, sì, ma fino a un certo punto. Quello che conta davvero è la felicità, il senso di completezza e  di appagamento che si provano ad aver raggiunto un posto tanto desiderato. Non importa la fatica, non importa la difficoltà: l’importante è esserci ed aver realizzato un grande sogno.

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Dopo aver valutato le possibili vie da salire, ad un certo punto ci siamo chiesti: perchè non lasciare un segno del nostro passaggio? Una firma, un saluto, un arrivederci, un motivo in più per ritornare.
Luca aveva individuato una bella linea di salita accanto ad una via fatta la settimana precedente, che porta sulla cima delle Donkey’s Ears, sulla Crescent Tower. Lasciare una traccia del nostro passaggio significava provare a salire lungo quella linea e provare ad aprirne una completamente nuova. Detto, fatto! Tra il 15 e il 16 agosto, in compagnia di un incessante vento patagonico e alimentati da una dose industriale di noccioline e m&m’s, nasceva “From Italy with Love”, una via di 300 metri di sviluppo con una partenza decisamente impegnativa in fessura, ma più facile man mano che si sale.

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FROM ITALY WITH LOVE.
PARETE: CRESCENT TOWERS – DONKEY’S EARS
DIFFICOLTA’: 5.10 massimo e 1 passaggio di A1 sul secondo tiro in uscita dal tetto a causa del forte attrito delle corde, in libera fattibilissimo.
SVILUPPO: 300mt.
MATERIALE: 2 SERIE DI FRIENDS FINO AL 4 1SERIE DI NUTS.  FETTUCCE E CORDINI PER ALLUNGARE LE PROTEZIONI IN PARTICOLARE SUL SECONDO TIRO E NELLA PARTE ALTA.
MATERIALE LASCIATO:  1 chiodo a “U” in corrispondenza della sosta del 3° tiro.
DESCRIZIONE:
Una via “plaisir” ma in pure stile Trad, le difficoltà maggiori si trovano sui primi 2 tiri, il resto dei tiri vanno dal 5.6 al 5.8 per poi collegarsi una volta giunti in cresta, sulla via normale.
ATTACCO: La via attacca lungo una fessura, qualche metro a sinistra dell’attacco diretto della via “Ear’s between”.
From Italy with Love – Scarica la relazione completa.

from italy with love

Si torna a casa.
Via aperta, relazione abbozzata, saluti di rito, ultime foto, ultimi sguardi già carichi di nostalgia, ultime barrette consumate: il viaggio nel magico mondo delle Bugaboos doveva pur finire, purtroppo! Impacchettato il tutto, il nostro timore iniziale si è subito materializzato in 2 enormi frigoriferi da portare a spalla fino alla macchina, l’ultima fatica!
Scendiamo piano, più per la voglia di guardarci attorno per l’ultima volta che per il peso del nostro bagaglio. Il tempo è decisamente cambiato: nuvoloni carichi di pioggia minacciano temporale, il vento freddo accompagna la nostra discesa, i colori dei boschi si fanno più intensi ed accesi, quasi un timido anticipo di autunno. Tutto questo sa di saluto, di sogno concluso ed avverato, di ritorno con la testa alle nostre vite di tutti i giorni, alle nostre montagne. Ma il cuore ripercorre tutte le emozioni di questi venticinque giorni su e giù per le spires e per i parchi, immaginando già un ritorno.
MI guardo intorno per l’ultima volta, poi guardo Luca davanti a me: è grazie a lui se sono qui, oggi, come in tanti altri posti in passato. Lui, che in parete non mi fa mai sconti, che continua ad istruirmi, a farmi crescere e a trasmettermi questa grande passione. 
Lungo la strada di ritorno, per le vie di Calgary, sul volo per Londra, già pensiamo alla prossima meta, al prossimo sogno da realizzare.

Arianna

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CANADA CLIMBING TRIP 2017 – II parte

BUGABOOS, secondo round!
I giorni a Golden sono stati divertenti e rilassanti. Ne abbiamo approfittato per riposare e per fare la vita da turisti “normali”, visitando i dintorni della cittadina e testando l’enogastronomia locale. Ma eravamo come i bambini al parco giochi, in attesa del prossimo giro di giostra sul meraviglioso parco delle Bugaboos.

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La seconda tappa ci ha portati nel cuore delle Spires. Abbiamo allestito la nostra tenda all’Applebee Camp, il campeggio situato 300 metri più in alto rispetto al Conrad Kain Hut. Qui, lo scenario è di quelli che tolgono potere all’immaginazione, perchè tutto ciò che uno scalatore desidera se lo ritrova, imponente e spiazzante, davanti agli occhi: la Big Wall dello Snowpatch Spire a sinistra, Bugaboo Spire al centro, Crescent Tower a destra con le Donkey’s Ears che svettano in alto. Più in fondo, massicce e bellissime, le Howsers Spire, un gruppo di tre imponenti montagne di granito, le più alte delle Bugaboo Spires. Per chi conosce le Alpi, sicuramente le Bugaboos ricordano molto l’ambiente del Monte Bianco con la differenza che, essendo intorno ai 3000 mt, non si patisce la quota!
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Il campo è pieno di tende: molti scalatori sono qui per la prima volta, altri sono dei frequentatori abituali, alcuni sono arrivati con l’intento di aprire nuove vie. Gente da tutto il mondo: Corea, Giappone, Australia, Messico, Ecuador, Cile, Spagna, Russia, Romania. Tanti alpinisti, ognuno con il proprio scopo: vivere quest’esperienza al massimo delle possibilità, , portare a termine un progetto, realizzare un obiettivo.

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Nei giorni della nostra seconda permanenza abbiamo scalato vie sulla Crescent Tower, corrispondenti alle cime Donkey’s Ears, King’s Lion e Central Tower.
Arrampicare su granito è molto particolare, sicuramente non il tipo di arrampicata a cui siamo abituati in Italia: la fessura richiede una tecnica di incastro di mani e piedi per un’arrampicata decisamente fisica e con un’ottima predisposizione dei piedi allo “spalmo”. E’ molto importante proteggere le mani fasciandole bene oppure indossando appositi guanti da fessura, che noi avevamo acquistato in Italia prima di partire. Invece, per le scarpette abbiamo patito un po’: troppo strette e “precise” le nostre (pur essendo quelle che adoperiamo solitamente per le vie lunghe), contro scarpette molto più morbide e rinforzate ai lati, proprio per permettere al piede di spalmare bene sulla parete, quasi di camminarci e, al contempo, incastrarlo nelle fessure. Provvederemo al prossimo giro! 🙂

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JASPER, a caccia di orsi e falesie.
Dimenticarsi del resto del mondo per giorni e giorni, trascorrere intere giornate lasciando che il bioritmo si adegui pienamente allo scandire del giorno e della notte, addormentarsi nel tepore confortevole del sacco a pelo, risvegliarsi al rumore discreto dei fornelli che scaldano l’acqua per il the, abbandonare il telefono ed utilizzarlo solo per mandare un sms a casa per dire, semplicemente: qui tutto alla grande, qui tutto ok…volevamo una vacanza fuori dal mondo e sapevamo di aver fatto centro.
Di sicuro non ci siamo riposati: abbiamo dormito in tenda, percorso chilometri a piedi con zaini sempre carichi, passato ore ed ore in parete, percorso lunghi tratti in macchina.
Ma il ritmo a cui ci eravamo adeguati, scandito senza fretta e senza programmi, ci ha messi nelle condizioni di liberare la mente, goderci ogni attimo e dedicarci completamente a noi e alle vie che avevamo deciso di fare.
Dopo la nostra seconda tappa sulle Bugaboos, ci siamo diretti verso il parco di Jasper. Rispetto a Banff, Jasper è molto più piccola, meno rumorosa e fastosa: conta poco più di 5000 abitanti, che in inverno diventano 10.000. Situata sulle Montagne Rocciose Canadesi e lungo la valle del fiume Athabasca, in estate Jasper chiama a raccolta gli appassionati di trail e di hiking, grazie ai numerosi percorsi che offre, ma anche moltissimi ciclisti, grazie ad una fitta rete di percorsi ciclabili di diverse difficoltà che vanno dalla easy, alla moderate, alla difficult. Noi, che di chilometri su e giù per il Conrad Hut ne avevamo percorsi a sufficienza con carichi di quasi 30 kg a testa, di correre e pedalare non avevamo granché voglia. Ma di scalare sì, come sempre! Grazie alle indicazioni di alcuni ragazzi del posto, siamo andati sul sicuro e abbiamo arrampicato in alcune falesie della zona davvero scenografiche, con tiri bellissimi.
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Nascosta in un canyon che alimenta Medicine Lake, la zona di Watchtower custodisce una falesia del migliore calcare dei dintorni. Le vie si trovano su sei muri differenti, su entrambi i lati del torrente, vanno dal 6a all’8a ed hanno una lunghezza che va dai 20 ai 30 metri su pareti quasi tutte aggettanti. Il livello dell’acqua è piuttosto alto in primavera ma scende in estate, permettendo di arrampicare su tutte le pareti. Essendo un canyon, l’esposizione al sole cambia nell’arco della giornata, per cui è possibile arrampicare tutto il giorno seguendo le pareti in ombra.
Molto più datata, ma tenuta benissimo, è la falesia di Rock Gardens, una delle prime ad essere chiodate ed ancora oggi la più frequentata ed apprezzata. Le vie vanno dal 5b al 7c ed hanno una lunghezza che varia da 20 a 25 metri. Anche qui abbiamo arrampicato su calcare di ottima qualità, con vie bellissime e molto varie, dalla placca, ai diedri, agli strapiombi.

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Dopo qualche giorno di arrampicata, prima di partire nuovamente alla volta delle Bugaboos, abbiamo voluto “finire” le nostre braccia con una intensa sessione di canoeing nel bellissimo scenario di Maligne Lake, optando per la più impegnativa canadese al posto del kayak. Risultato: braccia over, ma li abbiamo superati tutti! 🙂

Ma non è finita qui! Pronti per il gran finale?

Arianna

 

CANADA CLIMBING TRIP 2017 – I parte.

Un viaggio all’insegna della…larghezza.

Se dovessi attribuire al Canada un solo aggettivo, l’unico più appropriato potrebbe essere, senza dubbio, “largo”. Ecco, il Canada è “largo”. Grande, esteso, oversize, tanto.
Sono larghe le carreggiate delle strade e delle autostrade, larghi i piatti dei pub e dei ristoranti con le relative porzioni; larghe le fette di torta affilate nelle vetrine delle bakeries, larghe le taglie dei vestiti (una loro M corrisponde ad una nostra S); larghi i giardini intorno alle case e larghi i getti di acqua per innaffiarli.
Sono larghi i sorrisi delle persone, che sembrano non conoscere il concetto di fretta: you’re welcome, it’s ok, take your time, have fun. Persino i tempi di percorrenza sono larghi: per fare 300 km ci vogliono 3 ore, perché in autostrada il limite di velocità è di 110 km orari e tra 50 e 80 lungo le strade statali. Il motivo? La wildness, ovvio! Frenare di colpo per far attraversare un orso bruno o un alce o un deer è piuttosto ricorrente, specie lungo le strade che attraversano i parchi.
Larghi sono i territori dei parchi canadesi: da ovest ad est, essi si estendono lungo il confine tra Alberta e British Columbia, nel cuore delle Rocky Mountains (Banff, Jasper, Kootenay e Yoho), nelle praterie di Saskatchewan e Manitoba (Grasslands, Riding Mountain, Prince Albert e Wapusk), fino ad arrivare alle Georgian Bay Islands, Algonquin ed ai paesaggi splendidi delle Cape Breton Highlands in Nova Scotia. Insomma, l’imbarazzo della scelta!lake louise   chipmunk
Puntando diritti al cuore delle Montagne Rocciose, le nostre prime due tappe sarebbero state inevitabilmente Banff e Jasper: 2 parchi meravigliosi tra ghiacciai imponenti, vette innevate, laghi e paesaggi che sembrano tirati fuori direttamente da un quadro di Sisley.
La vegetazione è un susseguirsi di foreste di conifere, tra cui abeti ed aceri alternati a fiumi, torrenti e laghi che regalano scenari davvero mozzafiato. Anche la fauna presenta una grande varietà di animali: è facile incorrere in alci, caribù (simili alla renna), deers (simili ad un capriolo) e orsi bruni, chipmunk (simili agli scoiattoli), cani della prateria e bighorn (le pecore delle Montagne Rocciose dal “grande corno”). E ancora lupi, puma, ricci, topi muschiati, lepri, bisonti, istrici.
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Persino il tempo ci è sembrato più “largo”: vivere una vacanza itinerante, senza un programma alla mano, scandita solo dal limitatore di velocità e dall’alternarsi del giorno con la notte, ci ha restituito una dimensione temporale che non ricordavamo più. Un contenitore di tempo ampio, rotondo, generoso, dentro il quale siamo riusciti a mettere tutto quello che nella frenesia della nostra quotidianità non riesce ad entrare: stupore, lentezza, immaginazione, curiosità, scoperta, improvvisazione, gioco, ricordi.
Non appena scesi dall’aereo, nonostante 30 ore senza dormire, il nostro bioritmo si è subito assestato nel perfetto mood della larghezza. Presa la macchina a noleggio, abbiamo lasciato Calgary, riservandoci di visitarla gli ultimi 2 giorni prima di partire.
Ci siamo messi in viaggio verso Banff, provincia dell’Alberta, centro dell’omonimo Parco Nazionale e punto di riferimento di sport invernali ed estivi. Banff è una cittadina scintillante, che si fonda su un’economia di servizi, data la grossa affluenza turistica soprattutto nel periodo invernale. Passeggiando per le strade della cittadina, sembra quasi di essere a Cortina, tra negozi di souvenir, ristoranti ed un viavai di turisti di tutte le età.

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BUGABOOS, il parco dei divertimenti che ogni alpinista dovrebbe conoscere!
Lasciamo Banff dopo un solo giorno, pronti per la prima tappa di quello che sarebbe stato il fulcro del nostro viaggio: le Bugaboos, nel Bugaboo Provincial Park, cuore delle frastagliate Purcell Mountains, immense montagne di granito che si elevano su spettacolari guglie e pinnacoli, alcuni dei quali sopra i 3000 metri di altezza. Le Bugaboos si trovano in un territorio molto accidentato ed isolato, che comprende anche i ghiacciai delle Purcell. Se si decide di passare qualche giorno sulle Bugaboos è necessario organizzarsi bene, dato che nelle vicinanze non ci sono forniture o attrezzature di nessun tipo: il centro abitato più vicino dista quasi 2 ore dal parcheggio, tutto – dal cibo alla tenda – deve essere portato a spalla,  percorrendo un sentiero di 5 km per un dislivello di 700 metri fino al rifugio Conrad Kain Hut. Se poi si opta per il campeggio in tenda, i metri di dislivello diventano 1000, ma questo lo avremmo scoperto solo la settimana successiva 🙂

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Abbiamo trascorso 3 notti della nostra prima visita sulle Bugaboos nel rifugio Conrad Kain, così chiamato in ricordo della famosa guida che per prima visitò la zona nel 1910. Dal 1972 al 2000 il rifugio è tenuto dal British Columbia Parks come avamposto per scalatori e per ridurre l’impatto dei visitatori sulla fragile area del posto sotto lo Showpatch Spire. Il rifugio è un confortevole bivacco con corrente elettrica fornita da un micro-idro generatore locale posto nel torrente. Dispone di 35 posti letto ed una cucina che i visitatori possono utilizzare, mentre il bagno è collocato all’esterno. La gestione del rifugio è, più precisamente, un’autogestione: tutti gli ospiti preparano da sé la cena o la colazione, avendo cura di tenere pulita la zona di cottura e lavare le stoviglie utilizzate. Considerata l’alta affluenza di scalatori in agosto, abbiamo prenotato le notti in rifugio dall’Italia nel mese di marzo, ma nei periodi più tranquilli è sufficiente pernottare e poi lasciare il dovuto in una busta dentro un’apposita cassetta.dal conrad kain
Lo scenario che si presenta davanti al Conrad Kain Hut lascia davvero poco all’immaginazione: l’imponente seraccata dove nasce il fiume e la larghissima parete dello Snowpatch Spire si impongono davanti agli occhi. Intorno, c’è un contesto delizioso di flora e fauna, fatto di abeti, di ginepri e di un fitto sottobosco animato da un continuo viavai di cani della prateria continuamente in cerca di cibo.
In occasione di questa prima visita, mettiamo a segno un paio di bellissime salite, tra cui le 2 cime del Pigeon West Ridge, una grande classica che ci ha regalato una visione straordinaria a 360 gradi sulle Purcell Mountains.

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Rientrati alla macchina, dopo averla srotolata dalle reti metalliche con cui l’avevamo avvolta per evitare che qualche istrice di passaggio potesse bucare le gomme, ci rimettiamo in marcia diretti a Golden.

GOLDEN, tra lupi, orsi e …zanzare!

La cittadina di Golden si trova in una posizione strategica, costruita intorno alla confluenza dei fiumi Columbia e Kicking Horse e circondata dalle catene montuose Rocky Mountains e Purcell e da cinque Parchi: Yoho, Banff, Jasper, Glacier e Kootenay. Si trova sulla Trans-Canada Highway ed è il punto di arrivo della Highway 95, la tratta autostradale che la collega agli Stati Uniti attraverso la regione East Kootenay e Cranbrook (BC).
Come è facile intuire, l’economia della cittadina (che conta poco più di 5000 residenti) si basa sui servizi turistici, con una particolare concentrazione sull’attività turistica invernale, data la presenza di numerosi impianti sciistici (Kicking Horse).
In prossimità di Golden non abbiamo faticato a trovare un campeggio il quale, per non tradire le aspettative, era largo oltremisura, anche perchè accoglieva un’area destinata agli appassionati di parapendio.

Ci siamo sistemati in una piazzola comoda e spaziosa, completamente immersa nel verde e…nelle zanzare! Dalle 7 di sera fino all’ora di andare a dormire ingaggiavamo con i mosquitos una battaglia con grande spargimento di sangue, il nostro.
Durante la permanenza a Golden abbiamo indossato le vesti dei turisti ordinari: abbiamo visitato la riserva naturale dei lupi e scalato in una falesia della zona. Niente sfacchinate, niente fatica, solo un po’ di riposo prima del secondo round sulle Bugaboos.

Arianna

EVEREST: E’ CIMA!

Nella notte tra venerdì 10 e sabato 20 maggio, Angelo e Davide hanno raggiunto la vetta del tetto del mondo.
Tanta gioia e immensa soddisfazione per il coronamento di un sogno che è costato molta fatica, enormi sacrifici e una tenacia fuori dal comune.
E come dice Angelo: “Ti senti grande lassù…poi ti ricordi quanto sei piccolo e vuoi tornare giù, ma essere stato per un frammento di vita nel salotto degli Dei lascia in me indelebili segni”.
Noi di XTravels e Deb Viaggi siamo felicissimi e molto orgogliosi per il successo di quest’impresa, che ha visto la realizzazione di un sogno grandissimo.
Aspettiamo il loro ritorno e i loro racconti., che condivideremo insieme a voi!