ASPETTANDO LA FINESTRA DI BEL TEMPO

Guardare la montagna e continuare a sognarla, mentre è proprio lì davanti agli occhi.
Guardare ed aspettare, con pazienza. E scoprire che l’attesa altro non è se non un’occasione di sentirsi parte di essa.
Ecco le parole di Angelo, che scrive dal campo base dell’Everest, mentre il momento della salita si avvicina sempre di più.

“Everest Base Camp, Nepal 8 maggio 2017
Sono le 7 del mattino, la luce dentro la tenda filtra con violenza, mi lascia pensare ad una bella giornata di sole. Oggi ne approfittiamo per fare una sgambata verso il campo 1 del Pumori, una montagna bellissima di circa 7200mt vicino al nostro CB.
Ormai siamo abituati che negli ultimi tempi, la mattina é sempre una bellissima giornata, spesso senza vento ma nel primo pomeriggio improvvisamente si rabbuia e nevica fino a sera. Per cui cercheremo di essere di ritorno per l’ora di pranzo.
A parte queste piccole uscite di allenamento la spedizione all’Everest è entrata in una lunga fase di attesa (quasi 15 giorni) al CB. Si attende che il cosiddetto Fixing Team possa, con buone condizioni meteo, sistemare la parte finale della via. Essa infatti deve essere attrezzata con corde fisse che permettano la salita e la discesa in sicurezza. Dopo questa operazione è necessario avere una finestra di bel tempo di almeno 3 giorni per la salita.
Nel frattempo i giorni al CB scorrono lenti e monotoni in attesa di un giorno che sembra non voler arrivare.
Questa è la fase più dura. Quella in cui si sente il peso di quasi due mesi lontano dalle comodità di casa. Ma è anche il momento di non perdere di vista l’obiettivo e tenere duro per non rischiare di vanificare tutto il lavoro ed i sacrifici fin qui fatti. È’ un fine gioco di resistenza psicologica messa alla prova da tanti piccoli disagi quotidiani che col passare del tempo diventano sempre più fastidiosi e dalla sempre più insistente voglia di ritorno a casa. Ma non dimentico il motivo per cui sono qui. In fondo è anche questa la magia della montagna, godere il più possibile di questi immensi panorami. Aspettiamo con pazienza. Intanto nevica”.
Angelo Lobina

EVEREST EXPEDITION 2017 – Aggiornamento.

Come molti di voi sanno, in queste settimane è in corso la spedizione all’Everest. Questi sono giorni molto importanti ai fini della salita, ripartiti tra acclimatamento, riposo e messa a punto della strategia per la vetta, le cui dinamiche dipendono da molteplici fattori, prima tra tutti la condizione del meteo.
Dopo aver percorso il trekking lungo la valle del Khumbu, il team di alpinisti italiani ha raggiunto il campo base dell’Everest, a quota 5300 metri. Dopo un paio di giorni di riposo e dopo aver sistemato il grosso del materiale nelle loro tende personali, sono partiti con Mingma Temba Sherpa, uno dei Sirdar della spedizione per salire il Lobuche East (6145 metri), importante ai fini dell’acclimatamento. Mingma ha all’attivo oltre 10 salite sull’Everest sia dal Nepal che dal Tibet, 5 salite sul Cho Oyu, 3 sullo Shishapangma oltre a diverse salite sul Manaslu, Baruntse, Ama Dablam e numerose cime di 6000 metri.
Nei giorni successivi, come da programma, i tre alpinisti hanno conosciuto i componenti del gruppo internazionale di cui sono parte: 15 alpinisti in totale, provenienti da diversi paesi del mondo, con i quali i nostri condivideranno la salita. Tutti sono seguiti e supportati da un team di sherpa, portatori, cuochi ed altri membri dello staff: 19 Sherpa per 15 alpinisti, 3 tende mensa, tenda bagno, tenda doccia e tenda medica con un medico gratuito al loro servizio. Una nota importante ai fini della salita: lo Sherpa personale verra’ affidato a ciascun alpinista nella salita finale alla cima, dal Sirdar.
Ben presto gli alpinisti hanno dovuto affrontare l’ice fall: gli Sherpa hanno organizzato una giornata di training per consentire a tutti di familiarizzare con l’attraversamento delle lunghe scale metalliche sospese sui crepacci, la risalita sulle fisse con la jumar ed un po’ di allenamento scalando delle paretine di ghiaccio.
Il 19 aprile il gruppo internazionale con il Sirdar Mingma Tenji Sherpa (cv: 5 volte sulla cima dell’Everest, 2 volte sul K2 e G2; 2 volte sul Dhaulagiri; Lhotse,  2 volte sul Baruntse , 3 volte sul Manaslu, 5 volte sull’Ama Dablam, 2 volte sull’Himlung) hanno attraversato per la prima volta l’ice fall, arrivando fino a quota 5750 metri, per poi fare rientro al base.
Come da programma, dopo qualche giorno, il gruppo è ripartito per i campi alti, dove nel frattempo sono state allestite le corde fisse e le tende per gli alpinisti, oltre alla tenda con cucina (con cuoco impegnato nella preparazione dei pasti) ed ulteriori tende al campo 2. 
Una nota importante: ai fini di ottimizzare spostamenti e garantire agli alpinisti più comfort possibile, è stata predisposta al campo1 una tenda-cucina. In questo modo agli alpinisti sono garantiti i tre pasti quotidiani durante la loro sosta al c1.
Il programma di acclimamento prevede la salita al campo1 con pernottamento di 2 notti e la salita al campo 2 con pernottamento di 3 notti, con una puntata al campo 3. Quest’ultima, a causa del brutto tempo e di venti molto forti, non è stata effettuata: il Sirdar ha ritenuto opportuno rientrare.
Una nota sull’acclimatamento, sul quale vi sono diverse teorie. In questo caso, lo staff ha deciso di non far pernottare gli alpinisti al campo 3 per 2 motivi: il primo dovuto al meteo avverso e il secondo per preservare gli alpinisti in forze, dato che una o più notti al campo 3 delibiterebbero troppo il fisico, impedendo di recuperare sufficientemente le forze per la salita finale. In questo modo il percorso di acclimatamento risulta completato, ma senza minare le buone condizioni fisiche di tutti.
Personalmente, considerata la mia esperienza ma soprattutto quella di Sherpa che vantano decine di ascensioni all’Everest, sono totalmente in accordo con questa decisione.
Ora il gruppo è al campo base, in attesa che gli Sherpa terminino di sistemare le corde fisse nell’ultima parte di salita. Ad oggi, a causa dei forti venti  che soffiano oltre gli 8000 metri, occorrerà attendere ancora qualche giorno prima di salire.
Un’ultima nota, utile per comprendere meglio com’è organizzata l’intera spedizione: gli alpinisti partiti dall’Italia e quelli facenti parte della spedizione internazionale, hanno scelto tutti l’opzione full service. Ciò significa che usufruiscono dei servizi completi di supporto e sostegno, dal campo base fino alla (auguriamo a tutti loro) salita sul tetto del mondo. Va da sé che anche le decisioni prese dal team di Sherpa devono essere rispettate, in quanto sono figlie di precise analisi e strategie mirate.
Ai nostri alpinisti auguro il meglio da questa spedizione e il coronamento del loro sogno.
Luca Montanari

EVEREST EXPEDITION 2017: attraversando l’ice fall.

Forse non tutti sanno che il primo, grosso ostacolo da superare per cominciare l’ascensione all’Everest è attraversare l’Ice Fall, una cascata di ghiaccio che parte dalla cima del ghiacciaio Khumbu nella parte sud. Questa cascata si trova lungo il fianco del monte Everest, a 5486 metri di quota e deve essere attraversata per poter accedere al campo 1. Le procedure di attraversamento sono molto delicate e non prive di rischi e vengono scrupolosamente studiate e realizzate dagli sherpa: essi infatti, per mezzo di scale preparate a tale scopo, predispongono il passaggio per permettere agli alpinisti l’attraversamento, che consiste nel superare torri di ghiaccio e seracchi.
E’ fondamentale seguire rigorosamente le istruzioni degli sherpa o di alpinisti molto molto esperti, poiché questa cascata è in continua evoluzione ed attraversarla è a volte estremamente pericoloso.
Nella giornata di ieri, 20 aprile, i nostri alpinisti hanno superato l’ice fall, sono giunti fino a quota 5750 m e poi sono tornati al campo base. Questo è l’iter per un corretto acclimamento.
La giornata di oggi è dedicata alla preparazione del materiale. Domani ripartiranno, attraverseranno nuovamente l’ice fall per accamparsi al campo 1 e dormire in quota.
Attendiamo notizie!

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EVEREST EXPEDITION 2017

Ogni spedizione è unica, irripetibile, travolgente. E’ un viaggio che comincia molto, molto prima di arrivare in Nepal, o in Pakistan, o in Patagonia, o altrove: è un viaggio già cominciato dentro la testa, mesi e mesi prima di contattare la guida e l’agenzia.
E’ nella vita di tutti i giorni, ritagliando ore preziose per fare un allenamento di qualità.
Ma soprattutto è dentro l’anima, perchè quello che si sente al solo pensiero della vetta è una vibrazione intensa e profonda, che fa sentire immensamente bene chi la prova, che non si può spiegare, ma solo vivere.
Se poi c’è in ballo il tetto del mondo la spedizione, oltre ad essere unica, può diventare memorabile. Sì, perchè è dell’Everest che si parla: un sogno che si accarezza con i pensieri con timore reverenziale, una ragione di vita, un obiettivo sognato per anni e che difficilmente avrà una seconda chance.
L’Everest oggi è la realtà di Luciano, Davide e Angelo che, partiti da Milano il 26 marzo alla volta del Nepal, trascorreranno le prossime 6 settimane nell’attesa (e nella speranza) del coronamento del loro sogno.
Dopo aver effettuato il trekking per giungere al campo base, i tre alpinisti si sposteranno nei prossimi giorni al campo base del Lobuche East (6129 m), per salire la cima e fare, così, un buon acclimamento.
Ad attenderli, dopo il seimila, la porta d’ingresso per raggiungere il Campo 1: l’ice fall, un labirinto insidioso di crepacci e seracchi, reso percorribile dal meticoloso lavoro dei “doctors fall”, gli Sherpa, che hanno il compito importantissimo di attrezzare con corde fisse e scale questa parte di salita.
Forza ragazzi!
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Un angolo desiderato di Patagonia.

Patagonia agognata, sognata, desiderata da almeno 20 anni. Arrivata ora come reazione ad un anno di dolori e delusioni. Il viaggio per allontanare fantasmi, per ritrovare chi ho perduto,  per  mettermi alla prova; non un fuga ma la ricerca dell’amore per me stessa. Parto con la sensazione di andare verso casa.
Non mi è chiaro perché proprio la Patagonia, cosi remota e lontana, sia il mio luogo dei sogni. Forse questo nome è sempre riecheggiato nei racconti degli alpinisti lecchesi di ogni generazione, forse la lettura di Chatwin. Cerco Chalten sulla cartina e non è che un punto nella quasi esagerata estensione di questo territorio. Per collocare questi luoghi nella mia personale mappa ho dovuto muovere amici che mi hanno accompagnata e recuperata coi bagagli, percorrere più di 13000 chilometri, aerei, ore negli scali, strade dritte e lunghissime.
E quando finalmente arrivo, il Fitz Roy mi ha gratificata subito con la sua presenza, tra nuvole tempestose ma illuminato dal sole.
E impatto subito con vento. Non avevo idea della sua violenza. Incontrastabile, soprattutto per me che peso quasi nulla. Mi scuote, mi costringe a camminare a carponi, percuote la tenda fin quasi a piegarla eppure … eppure  quando non c’è ne sento la mancanza. Restiamo immobili per due giorni alla Playta, Lago Electrico, nel sacco piuma con le tende scosse dalle raffiche,  in attesa che le previsioni dicano patagonia e non sempre e solo putagonia! Un riposo forzato, nessun pensiero, dormire, sognare, ascoltare il cuore che batte e la pioggia che cade.
Il trekking sullo Hielo Continental ci è precluso, causa vento e maltempo. Nessuna delusione. Ho sempre saputo che qua si deve imparare l’arte della pazienza ed elaborare piani alternativi per non deprimersi. Si torna alla Piedra del Fraile e lì, nella luce di tarda sera estiva,  per un breve istante sento il profumo dell’erba e del trifoglio e mi par quasi di vedere l’ombra di mio padre tra gli alberi, che insegue il suono del picchio. Saliamo al Passo del Quadrado:  la visione di un angolo di ghiacciaio ma soprattutto delle pareti di un granito cosi bello che non può che far venire voglia di toccarlo, accarezzarlo, scalarlo.
I campi storici, dove gli alpinisti sostavano mesi, abbruttiti, stremati dall’attesa e dal cattivo tempo, ora son campeggi per ragazzi, persone di mezza età, insomma han perso parte del loro fascino. Fortuna che tutte le cime son li, davanti a noi, nella loro esagerata bellezza.
E poi il Cerro Torre: tra le nubi è ancor più bello che nel cielo terso;  esprime tutto il sua drammatico fascino quando il vento muove le nebbie e la cumbre appare e scompare. Scompare la cima del Torre e appare quella della Egger, mai insieme.
Qui, nella magia di questi luoghi desiderati così a lungo, mi son disintossicata dal superfluo. Restano solo i fondamenti: libertà, vita, entusiasmo. E tornare a dormire in un letto, lavarmi sotto il getto d’acqua bollente è piacevole ma dormire fuori, eh, quello è essere nel mondo. E il mio compleanno lo festeggiamo oltre la laguna Toro, in tenda, un biscotto al cioccolato a testa, nessuna candelina, avvolti nel goretex per il vento violento che ci impedisce di accedere al ghiacciaio per il giro del Fitz Roy, di passare ai piedi del Torre.
Rientrare da quel che non mi è mancato, questa forse è la vera sfida.

Arianna Cecchini.

La vetta dell’Island Peak insieme a Giorgio.

Imja Tse: 6189 metri di quota, nel cuore dell’Himalaya. Una salita tecnicamente non difficile ma sicuramente impegnativa, per un’ascensione che, man mano che si sale, arriva a togliere letteralmente il fiato. E non solo per la quota! Passo dopo passo, risalendo il ghiacciaio, davanti ai nostri occhi compaiono le grandi vette dell’Himalaya: il Lhotse, il Makalu, il Baruntse, l’Ama Dablam.
Una visione incredibile a 360° gradi che quasi ci fa dimenticare la fatica della salita. E subito ci fa tornare a pensare in grande, verso nuovi progetti, verso nuove vette.
Complimenti Giorgio!

Quota 7000.

Da un continente all’altro, ecco alcune cime di 7000 metri proposte da XTRAVELS per il 2017.
-Nepal, HIMLUNG HIMAL (7126) partenza marzo 2017
– Pamir, KHAN TENGRI (7010) Partenza luglio 2017
– Pamir, PEAK LENIN (7134) partenza agosto 2017
– Cina, MUZTAGH ATA (7546) partenza agosto 2017
I servizi da noi offerti vanno dal pacchetto base al full service. Ma tutti con un denominatore comune: esperienza sul campo, preparazione e una profonda conoscenza del territorio. Ecco i nostri servizi:
a)  BASIC,  tutti i servizi fino al Campo Base;
b)  FULL SERVICE, tutti i servizi fino alla cima con Guide locali.
c)  FULL SERVICE & GUIDE, tutti i servizi fino alla cima + Guida Alpina UIAGM dall’Italia.
Alle Scuole di Alpinismo e Scialpinismo delle Guide Alpine, Sezioni  CAI, UISP, Enti Sportivi sono riservate tariffe speciali. Per saperne di più. scrivete all’indirizzo spedizioni@xtravels.it, oppure chiamate il numero 335 6857151.

Fiumedilatte – Un racconto dal Nepal.

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Kathmandu, capitale del Nepal. La temperatura è intorno ai 22°, con un’alta percentuale di umidità. L’aria sa di polvere ed incenso; per le strade, un groviglio di macchine e motorini sono intenti in un diligente e caotico disimpegno di incroci completamente privi di semafori e della segnaletica più elementare. La gente ci sorride, guarda noi turisti con un curiosità e soddisfazione, perché sa che, dopo 20 giorni di cammino, partiremo verso casa con un inguaribile desiderio di tornare.

L’arrivo a Lukla ci catapulta immediatamente in un mondo sconosciuto ed incantato, dove i nostri sguardi increduli si incrociano con quelli divertiti degli abitanti del posto, assiepati lungo i muri a secco che demarcano il sentiero verso l’aeroporto. Alcuni si avvicinano, chiedono se abbiamo bisogno di aiuto. Altri ci sorridono e ci dicono semplicemente Namaste. E noi, ricchi turisti occidentali impegnati a capire cosa volessero esattamente, solo  dopo molti giorni avremmo compreso che quel saluto era quanto di più disinteressato e vero potessimo mai ricevere: mi inchino a te, alle divinità che sono in te. Più che un saluto, un augurio; più che una riverenza,  una autentica benedizione.

Il primo giorno scorre veloce: i lodge sono accoglienti e confortevoli, i pasti abbondanti e deliziosi, le timidezze iniziali dei nostri giovanissimi portatori – alcuni di loro hanno sedici anni, altri pochi di più – si stemperano subito in sonore risate. Il breve soggiorno a Lukla è come aver sostato  in una camera di decompressione: nel momento in cui varchiamo la soglia del kani, l’arco cerimoniale all’estremità settentrionale della città, improvvisamente il peso delle nostre incombenze quotidiane scompare e, leggeri, cominciamo il nostro cammino.

Lungo il percorso incontriamo file di yak che trasportano le attrezzature e le provviste necessarie ai gruppi di trekker. Grossi, dal vello fluente e nero, spesso con nappe di lana ornamentali sulle corna e con coloratissimi paraocchi, questi animali avanzano lenti, insieme ad altri dal pelo più corto, chiamati dzo e nati da un incrocio tra uno yak e una mucca. Strada facendo, lo scenario si fa sempre più strabiliante: i muri mani su cui sono incisi i mantra, piccoli gompa votivi, ruote di preghiera  e un viavai di faccette allegre che camminano veloci in ciabatte oversize e in maniche di camicia, i cui volti si scorgono a malapena sotto i voluminosi carichi sulle loro spalle.

Da subito, energico e fragoroso, sentiamo il rumore di quello che sarà il basso continuo del nostro cammino, l’accompagnamento strumentale che darà il ritmo a questa straordinaria avventura: il Dudh Kosi, meglio conosciuto come Milky River, che scende dalla zona dell’Everest e scorre impetuoso nel fondovalle e che noi abbiamo affettuosamente ribattezzato Fiumedilatte.

Viviamo i giorni che ci separano dalla vista dell’Everest con trepida attesa e tutto  ciò che si presenta alla nostra vista sembra prepararci ad un incontro quasi sacro, che ognuno di noi aspetta in religioso silenzio, con un atteggiamento cauto e dimesso, con un timore reverenziale verso le persone, quasi chiedendo permesso ad ogni passo, consapevoli di essere ospiti graditi in una terra che ci rispetta e ci accoglie.

Ci fermiamo a Namche Bazaar  due giorni, per consentire all’organismo di adattarsi alla quota. Namche è la leggendaria città degli sherpa, caratterizzata da un viavai di strade acciottolate e di scalinate di pietra lungo le quali si ergono le tipiche case nepalesi. La parte alta della città regala una vista meravigliosa sulla valle del Dudh Kosi, con le vette imbiancate del Thamserku e dell’Ama Dablam.

Le acque bianche e spumose di Fiumedilatte ci vengono incontro, fanno vibrare l’anima della valle, muovendo i colori dei rododendri e diffondendo il profumo intenso del ginepro;  le vette innevate ci raccontano di sacrifici e cime raggiunte, di attese e di rimpianti, di cadute e di rinascite. Qui, il nostro senso del tempo ha perso tutta la forza corrosiva del suo scandire e si è caricato di essenza, di Vita. Finalmente abbiamo dimenticato, finalmente abbiamo ricordato: il nostro viaggio è diventato un viaggio dentro la nostra anima e ci avrebbe fatto scoprire cose che, una volta tornati a casa, difficilmente avremmo potuto spiegare.

Come la visita al monastero di Tengboche: qui la vita della comunità è semplice, scandita dai ritmi lenti e cadenzati della valle, con il refrain del fiume che fa da controcanto alle preghiere dei monaci. In alto, sorvegliante attenta ed amorevole, l’Ama Dablam, che sembra quasi abbracciare il monastero e i suoi abitanti. È incredibile come la preghiera, in questo luogo sacro, sia un modo di essere, prima ancora che un momento solenne in onore delle divinità: durante la preghiera, i monaci parlano tra di loro, a volte si perdono alcuni passaggi, a volte ridono, a volte gli capita persino di distrarsi. Ma pregano, pregano sempre. E le loro preghiere, scritte sulle tipiche bandierine di origine tibetana, sventolano ovunque: hanno il bianco dell’aria, il rosso del fuoco, il verde dell’acqua, il giallo della terra e il blu dello spazio.

Solo dopo molti giorni avremmo capito che  pregare non è supplicare, ma celebrare; non è intercedere, ma vivere in comunione con la natura e con le divinità che abitano dentro ognuno di noi; non è chiedere, ma ringraziare.

Om mani padme om: salve, o gioiello nel fiore di loto.

Nei giorni successivi visitiamo Dingboche e Lobuche ed arriviamo, al decimo giorno, a Gorak Shep. Il freddo e la stanchezza sono tangibili, ma ormai siamo completamente assuefatti ai ritmi lenti e costanti della nostra marcia, che FIumedilatte non ha mai mancato di scandire. La notte passa veloce, nell’attesa che giunga l’alba. Zaino in spalla, black coffee e pan cake, un respiro profondo per assaporare l’aria fine e gelida e via, pronti per la nostra salita. Il passo è lento, la fatica che proviamo è diversa da quella a cui siamo abituati, perché la quota agisce come una piccola zavorra sui nostri muscoli e ci accorcia il fiato. Ma lo scenario che si rivela davanti a noi, una volta giunti sulla sommità, è di straordinaria bellezza: l’Everest, il Lhotse, il Nuptse e, poco più a destra, l’Ama Dablam. Davanti a tutta questa meraviglia, il tempo smette di scorrere, di pesare, di essere tempo e ci regala, per un solo ma lunghissimo attimo, un piccolo pezzo di eternità che non appartiene all’essere umano e che noi, privilegiati al cospetto del tetto del mondo, non potremo mai dimenticare.

Lungo la via del ritorno, Fiumedilatte non ci viene più incontro ma ci accompagna, incalzando i nostri passi con il suo ritmo energico e fragoroso. Ci sembra quasi di sentirlo cantare: arrivederci a presto, piccoli grandi gioielli nel fiore di loto.

Arianna Del Sordo

Luca Montanari in partenza. Destinazione Ama Dablam.

Manca poco più di una settimana alla partenza. Qualcuno mi chiede se ormai mi sono abituato, se gli appuntamenti con la primavera e l’autunno delle spedizioni sono cosa consueta oppure no. Infatti, non lo sono. Ogni pianificazione, ogni salita, ogni programma sono sempre diversi. Ma, soprattutto, cambiano le persone. Ognuno con la sua storia, esperienza di vita, sogno. Ognuno con la voglia di migliorarsi, di superarsi, di ritrovarsi, di rispondere al richiamo irresistibile della montagna.

Ho conosciuto Giorgio in occasione della sua prima spedizione in Himalaya. Abbiamo tentato la salita dell’Himlung Himal lo scorso ottobre. Lì, ha scoperto una realtà spettacolare e dura insieme, dove la preparazione fisica conta tantissimo ma, più di tutto, conta quella mentale. Ha conosciuto la vita di spedizione, fatta di giornate lente a passare, ma piene della condivisione di una quotidianità che con la vita reale hanno poco o nulla a che fare: alpinisti da tutto il mondo, ognuno con la sua storia e con la sua cultura, uniti nel sogno di una stessa vetta da raggiungere.

L’Himlung è stata una bella palestra, dove Giorgio ha potuto fare esperienza e sognare ancora. E stavolta tocca all’Ama Dablam.

Eccoci qui, a distanza di un anno esatto, dopo tanta preparazione e alcune salite-test sulle Alpi, in procinto di partire di nuovo.

Fare la Guida ad altissime quote è davvero speciale. Si passano tanti giorni con il cliente (32, in questo caso), bisogna tenere la concentrazione sempre al massimo, nonostante la fatica e la stanchezza, bisogna essere complici, essere affiatati, spalleggiarsi, per non mollare mai.

Spedizione Ama Dablam

La spedizione

L’avvicinamento al campo base prevede 5 giorni di trekking attraverso i caratteristici villaggi della valle del Kumbu. Giunti al cb, sosteremo qualche giorno per acclimatarci ed organizzare la salita. Infatti, faremo tutto in autonomia: carichi, preparazione del cibo, allestimento dei campi alti, trasporto di tende e di materiale.

Dal campo base al campo 1 ci sono sono circa 1000 metri di dislivello da percorrere, all’inizio su sentiero ripido e poi alcune roccettine che portano alla cresta dove fisseremo le tende. Dal campo 1 al campo 2 il dislivello è minore rispetto al tratto precedente, ma caratterizzato da passaggi tecnici su cresta di roccia esposta ed alcune pareti da superare. Il campo 2 è situato su una torre sulla quale è possibile allestire al massimo 4-5 tende ben ancorate alla roccia.

Dal campo 2 fino alla cima inizia la parte di misto neve e ghiaccio, con pendenze che variano da stagione a stagione, fino a giungere all’esposta calotta sommitale, dalla quale speriamo di goderci uno dei panorami himalayani più belli, con vista sulla valle del Kumbu, Lhotse, Everest, Cho Oyu, Makalu.

In bocca al lupo Giorgio, in bocca al lupo a noi!

Luca Montanari

Spedizione Ama Dablam

Alpinismo moderno. Vecchio e nuovo, sempre nel segno dell’amore per la montagna.

Con la salita al Cevedale di domenica 10 luglio, si è concluso il secondo appuntamento del corso di Alpinismo Moderno che aveva già visto la sua prima edizione nei mesi di febbraio e marzo 2016 in Lagorai, sul Monte Baldo e a Ferrara di Monte Baldo (dry tooling).

Ma perchè “moderno”? Semplicemente, perchè a mio avviso era importante introdurre qualcosa di nuovo rispetto ai classici corsi di alpinismo. Come tutte le cose, anche l’alpinismo negli anni si è evoluto, acquisendo nuove dinamiche e visioni, forte di una preparazione sempre più precisa e funzionale e di attrezzature e materiali sempre più polivalenti, non solo sulla progressione ma anche sulla sicurezza. Per tutti questi motivi, il corso di Alpinismo doveva essere svecchiato, rinnovato, arricchito: sempre più persone si avvicinano alle vie di misto, le pareti Nord “tornano di moda”. Ma scoprirle non basta: occorre avere basi solide per potersi approcciare a questo mondo, essere preparati e consapevoli, sapersi muovere in sicurezza. Rispettare i propri limiti e, soprattutto, rispettare la montagna.

Sono una guida alpina profondamente innamorato dell’alta montagna, dei suoi misteri e delle sue infinite possibilità: per questo mi piace vedere una nuova generazione di alpinisti in grado di muoversi con disinvoltura su roccia, neve e ghiaccio, di gestire le criticità e di avere un perfetto autocontrollo, per la propria sicurezza e per quella della cordata. E mi piace vedere tutte queste cose sposarsi con quell’atteggiamento “classico” di scoperta e timore, coraggio e rispetto, che tutti i grandi alpinisti della storia hanno sempre avuto ogni volta che hanno raggiunto una cima. Vecchio e nuovo, sempre nel segno dell’amore per la montagna.

Questo corso è servito agli allievi per imparare tutto ciò che era da programma, cominciando così un percorso che permetterà loro di farsi un po’ di esperienza sul campo e mettendo in pratica tutto ciò che hanno imparato.

Poi, per chi vuole proseguire e migliorarsi, ci saranno gli step successivi, come i Corsi pareti Nord o Stage di Alpinismo personalizzati.

Arrivederci alla prossima vetta!
Luca Montanari